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Edizione provinciale di Udine


IL TECNICO - Birtig dribbla le meschinità per fare del bene

Chiacchierata con Gianluca dopo la concordata separazione col Lumignacco e l'incredibile rimpatriata nel Tamai fenomeno della serie D

Lo spirito del Tamai è qualcosa che ti entra nelle vene e nel cuore. Ed era un comune sentire che ha coinvolto nella storica rimpatriata 300 giocatori delle Furie Rosse e i quattro tecnici che hanno tenuto la squadra pordenonese per quindici stagioni di fila in serie D: Graziano Morandin, Ermanno Tomei, Gianluca Birtig e Stefano De Agostini. Che momenti emozionanti! E che attaccamento a quella maglia, a quella società! Solo così si spiega, ad esempio, che un Giorgini, che ha vestito la maglia biancorossa per una sola stagione, sia venuto su dall'Umbria per festeggiare l'epopea tamaiota in quarta serie. 
Di questo si parlava con Gianluca Birtig, uno dei quattro favolosi moschettieri-maestri, prima di un tuffo nell'attualità, a separazione del Lumignacco ancora fresca. Non sono mancati gli attacchi, le meschinità, le piccole vendette: tutto fa gioco per colpire gli scomodi e appassionati rossoblù e un tecnico perennemente controcorrente. Ma la verità ha la testa dura, molto dura. 
Birtig, come si sta senza panchina?
"Tranquillo e sereno; la separazione dagli amici del Lumignacco è stata molto consensuale. Ho messo certi paletti, e siccome ho il mio caratterino me la sono andata a cercare. Poi, magari, se Lionetti avesse segnato quel gol a 10' minuti dalla fine, saremmo magari qui a parlare di un allenatore geniale e di una squadra trionfante. Nel calcio queste cose succedono, i risultati hanno un grosso potere persuasivo".
Non vale neppure la pena di chiedere, allora, se Birtig si sia trovato bene con Zanello, Gardellini e soci. E' così evidente...
"Già, è stata proprio una bella avventura. Non sa che cosa mi hanno scritto e detto i giocatori quando hanno saputo che non restavo: sono cose che ti toccano il cuore, che danno senso al nostro andare in campo, insegnare, passare del tempo insieme, conoscersi per capirsi. Personalmente, ho sempre lavorato per costruire qualcosa nel medio lungo periodo; da qui l'importanza di aver lasciato qualcosa di me e di positivo al Lumignacco. Non mi interessa allenare per ambizione o interesse personale; contano i rapporti che sistabiliscono, come e con che cosa si riempie quel contenitore che è la vita di una squadra di calcio all'interno di un contenitore più grande, che è la società di calcio. Tornando al Tamai, bisogna sapere che all'inizio di ogni stagione la prima richiesta della dirigenza è sempre stata quella di vincere la Coppa disciplina. Non si tratta di buonismo o di storielle per ingenui, ma di essere più forti e più solidi degli altri di testa, sul piano comportamentale, attraverso l'autocontrollo così da dedicare tutte le energie al calcio giocato. E non bisogna mai perdere il sorriso e la felicità che questo gioco sa offrire".
Allora Gianluca Birtig che allenatore è?
"Non un gestore di gruppi, ma un allenatore che prova a incidere, a seminare. E' accaduto così pure con gli amici del Lumignacco; avrei potuto gestire una squadra che aveva, bene o male, una certa identità. Sarebbe stato più facile. Mi sono invece assunto dei rischi, cercando di darle un'impronta di gioco che si è comunque cominciata a vedere".
E adesso che programmi ha?
"Di fare del bene con e attraverso il calcio, sfruttando la forza prodigiosa, semplice, limpida e universalmente comprensibile. Magari ne riparliamo un'altra volta".

Alessandro Maganza

IN ARRIVO L'APPLICAZIONE 

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  Scritto da La Redazione il 23/05/2016
 

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