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Edizione provinciale di Pordenone


IL PERSONAGGIO - Arcaba in campo, anche il giorno del matrimonio

Alle soglie delle 45 primavere il grande Pedrag è sempre sulla breccia e con la sua Sanvitese non mette limiti alla provvidenza. Una vita dedicata al calcio, ma molto altro, a cominciare dai tre figli... La mattina acqua, miele e un sorso di grappa


Entrando a casa di Arcaba a Cervignano si nota un centrotavola composto da un comune ma emblematico cesto in vimini. Capirete il perché.
Arcaba, nato nel 1972 a Rijeka, a breve compirà 45 anni. Nel 1991 allo scatenarsi della fratricida Guerra nella penisola jugoslava, Predrag si è trasferito insieme alla famiglia in Italia grazie ai contatti del padre carpentiere di Palmanova. Fino ad allora aveva giocato nelle giovanili della squadra cittadina militante in serie A e aveva prospettive di strappare il primo contratto da professionista. Ma il destino non aveva in serbo questo per lui.
Riprese a praticare la sua passione sportiva nel 1992/93 nella Pro Cervignano, inizialmente con gli Amatori e poi in Prima Categoria, per salire l’anno successivo a Cormons in Eccellenza, vinta dopo 3 anni e accasandosi nel Pordenone del presidentissimo Lovisa, allora prima punta, insieme a giocatori del calibro di Giorgio Papais, ex professionista piacentino.
“Inoltre ho giocato con giocatori di spessore come Stefano De Agostini, Neto Pereira e Ciccio Marino” precisa il croato.
Considerato extracomunitario è stato impossibilitato a giocare tra i professionisti fino a 34 anni quando, presa la cittadinanza italiana e vinta la serie D con l’Itala San Marco di mister Zoratti, “il primo anno abbiamo vinto i play off contro la Sambonifacese di Arma, l’ex bomber di Pordenone, ora in forza alla Triestina. Sono serviti diciassette rigori primi di avere la meglio. Il secondo anno per tentare la salita diretta tra i professionisti, riuscita, ci allenammo al pomeriggio e dovetti lasciare il lavoro di gruista. Rinunciai al professionismo per andare alla corte di mister Tedino a Jesolo. Era molto preparato, aveva una mentalità molto offensivista e bilanciava bene i carichi di lavoro durante la settimana. Poi passai al San Paolo Padova di mister Fonti, è un grande lavoratore, una persona molto umana e capace di sentimenti. Dopo tre anni feci un biennio al Kras, il primo da giocatore e il secondo da allenatore, senza troppa convinzione, visto che non fui interpellato nella costruzione della rosa. Molti di quei giocatori sloveni non erano pronti per il calcio italiano. Retrocedemmo.”
Ed ora è in forza alla Sanvitese. “L’anno scorso abbiamo vissuto una stagione transitoria, quest’anno grazie alla forza del gruppo fatto di ragazzi capaci ed educati, ad una società vicina nonostante le difficoltà, continuiamo il rito della cena di venerdì sera che rimane una cosa bellissima, stiamo superando le aspettative e se a febbraio saremmo ancora in alto, potremmo giocarci la volata finale con il Flaibano. Tanto più che non abbiamo le pressioni delle prime della classe. Però dovremmo mettere in campo maggiore cattiveria calcistica, malizia e un pizzico di fortuna. ”
Quali sono secondo te le cause della crisi del calcio italiano?
“Nei settori giovanili italiani si lavora senza una vera logica. Si premia il risultato a discapito del gioco, la prestanza fisica e la preparazione atletica dei giovani calciatori a danno della formazione tecnica. A quell’età i ragazzi devono divertirsi e per divertirsi devono sapere e poter giocare a calcio, dare confidenza al pallone. Da piccolo non vorrei un giocatore alla Gattuso ma alla Pirlo” dice Predrag. “Inoltre si investe poco sui giovani. I dirigenti lucrano sul prezzo del trasferimento del giovane e così, spesso, ad alcuni buoni calciatori sono precluse opportunità importanti, tutto per qualche migliaio di euro di differenza. Bisognerebbe gratificare le squadre che formano buoni ragazzi, invece di alimentare guerre economiche tra le società per i cartellini. In Friuli un allenatore che fa correre i ragazzi come dei cavalli è bravo, chi insegna a giocare è esonerato. Quanti giocatori ha lanciato in Prima Squadra il settore giovanile dell’Udinese? Pochi, troppo pochi. Stiamo sbagliando qualcosa".
E prosegue il difensore centrale: "Quando da piccolo giocavo con gli amici e perdevo di misura contro una squadra arroccata in difesa, sapevo di essere stato sconfitto all’italiana. La qualità dei massimi campionati dilettantistici è scaduta. La causa è dovuta anche all’obbligo di schierare i “fuoriquota”, ragazzi maggiorenni o poco più che invadono tali serie. Questi non si giocano il posto con gli altri 20 componenti della squadra, ma solo con il diretto concorrente di ruolo ed età, quindi lo stimolo è molto inferiore, a volte inesistente. Se un mister è preparato deve avere il coraggio di schierare i giovani bravi e insistere con la fiducia nonostante qualche errore iniziale, spronandoli, riuscendo a farli rendere al massimo”.
Ricordiamo che attualmente in Promozione ed Eccellenza i “fuoriquota” da schierare sono rispettivamente 2 e 3, in Serie D sono 4. Ma non sembrerebbe solo colpa dei ragazzi, spesso i genitori credono di avere dei campioni invece che dei figli, pretendo da loro prestazioni eccessive e verso l’ambiente di riferimento hanno delle richieste inaccettabili”.
Qual è il tuo elisir di lunga vita calcistica?
“Il segreto per giocare così a lungo è la passione. Ma non basta. Non credo alla fortuna. Io sono pazzo per il calcio, molto a dire il vero. Il giorno del mio matrimonio mi presentai in campo, giocavo a Cormons. Battemmo 2 a 1 il Palmanova che vinse il campionato. Mio moglie sugli spalti vestita da sposa, mio fratello girava il video negli spogliatoi, i compagni ci regalarono una cesta di frutta ( il famoso centrotavola ). Noi gente dell’est siamo favoriti da una genetica che ci permette di recuperare prima dalla fatica e reagire meglio agli infortuni e ai traumi. Prediligiamo una dieta carica di carboidrati e proteine, un bel panino con affettati la mattina, alcuni bicchieri di rosso durante i pasti, carne, molta carne. Mi sveglio con un bicchiere di acqua calda e miele e un sorso di grappa. Il calcio, lo posso dire, è la mia vita. E i soldi, i soldi non sono mai stati troppo importanti per me. Ho sempre messo al primo posto la famiglia”.
Ma non si è fermato al calcio lo Zar che aver avuto tre figli: il più grande, Alexander gioca nel San Giorgio Sedico in Eccellenza Veneta, Nicolaj ha smesso l’anno scorso senza troppo dispiacere del padre, io sono maniaco del calcio, ma è importante che seguano ciò che sentono. Non ho nessun tipo di problema in tal senso". E il piccolo Nemanja gioca nelle giovanili dell'Ism Gradisca; Predrag ha svolto numerosi lavori associandoli sempre alla carriera calcistica, dal gruista al magazziniere, dall’agente immobiliare all’operaio, non è mai stato fermo e ha sempre fatto di necessità virtù.
Il futuro di Arcaba sarà ancora tra i campi di calcio, sarà un allenatore capace. Osservando il cesto in vimini, gli auguriamo, ci auguriamo, altrettanti decenni di questi fruttiferi sposalizi.

Mark Beyle

 @RIPRODUZIONE RISERVATA

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  Scritto da La Redazione il 08/12/2017
 

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