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Edizione provinciale di Trieste


IL TECNICO - Zaccardi alla Triestina, una tradizione di famiglia

Allo scoperta del tecnico dei Pulcini dell'Unione. Il fratello della nonna paterna era Nereo Rocco. Ma non solo...


Volendo dare sempre un riferimento geografico alla mia (e nostra) avventura per i campi di calcio della regione oggi “sbarchiamo” in riva al mare, esattamente a Trieste, dove, fuori dello stadio “Nereo Rocco” mi aspetta mister Antonio Zaccardi, muggesano doc e da quest’anno allenatore dei pulcini dell’Unione Sportiva Triestina Calcio 1918.

Amico e “mister” Zaccardi, ti ringrazio per la disponibilità accordatami. Illustra la tua "storia” calcistica e sportiva: prima da giocatore e poi da allenatore.
"Ho poco da segnalare come giocatore. Seguendo i consigli di mio padre, che di fronte a piedi di qualità non sopraffina mi aveva caldamente suggerito di dedicarmi ad altre passioni, così ho fatto. Ho militato, però, nelle giovanili e in qualche campionato a livello dilettantistico sempre in squadre triestine. La scelta di allenare, sempre a livello giovanile, è invece legata a quello che avrei voluto fare nella vita: l'insegnante… anche se poi ho seguito altre strade (ndr. laurea in Giurisprudenza)".
Quest’anno sei approdato in una blasonata, l’US Triestina. Sei particolarmente legato a questa società: perché?
"La tradizione di famiglia mi lega a questa società calcistica di Trieste: il fratello di mia nonna paterna era Nereo Rocco, il “paron”. V’è da dire che mio nonno e mio padre hanno pure indossato la maglia rosso-alabardata. Fin da piccolo, quindi, tutti loro mi hanno trasmesso l'amore per “l’Unione” e la sua storia. Oggi anch'io ho l’onore di indossare questa maglia e papà, tra una presa in giro e l'altra, ne sarebbe stato orgoglioso. Ma sono sicuro che si diverte a guardarmi anche da lassù".
La realtà giovanile, mi pare di capire, è da anni un tuo punto di riferimento. Mi puoi dire per quale motivo ti dedichi a questo settore?
"Credo che la maggior parte di coloro i quali hanno fortuna di fare l'istruttore di giovani calciatori ti risponderebbe allo stesso modo. È una passione che si ha dentro: la gioia di vedere crescere i bambini, di farli divertire in un ambiente sano e alla loro portata. Ma è anche una grande responsabilità: il “mister” e gli insegnanti trasmettono comportamenti e valori in una fase fondamentale della crescita e oltre alla passione è necessaria avere un'adeguata preparazione e consapevolezza di quello che si sta facendo. Giustamente, oggi, a livello di federale, c'è molta attenzione su questo".
 Quali sono i tuoi obiettivi per la stagione in corso?
"La Triestina quest’anno è diventata centro di riferimento Coerver Coaching offrendo agli allenatori la possibilità di seguire corsi di formazione all’interno della società. Si tratta di una metodologia di insegnamento innovativa ma di fatto riconosciuta ed utilizzata in tutto il mondo e da club quali Bayern Monaco, Real Madrid ed Ajax e rivolta, in particolare, alle categorie giovanili. Lo scopo è finalizzare allo sviluppo  delle abilità individuali, le tecniche dei  ragazzi col divertimento, la fantasia, la personalità e consapevolezza di sé. A livello pratico ci consente, tra allenatori, di condividere le medesime linee guida valutando le fasi di crescita dei ragazzi secondo gli stessi parametri".
Quali sono le caratteristiche fondamentali della tua squadra?
"L’eterogeneità del gruppo, la passione messa in campo, in allenamento, e la gran simpatia".
La più grande soddisfazione da allenatore? E, sempre in questa veste, il tuo più grande difetto e il miglior pregio?
"I miei pregi credo siano soprattutto quelli di saper creare un'atmosfera positiva all’interno della quale i ragazzi si sentono autonomi e parti di un gruppo che appartiene a loro prima che a chiunque altro. Spero negli anni di avere sviluppato una buona capacità di programmazione e organizzazione degli allenamenti, e di valutazione nella crescita dei ragazzi. I miei difetti: dicono che dovrei essere più severo e che difendo sempre i miei ragazzi. Il fatto è che da bambino ero molto timido e mi ricordo ancora il brutto effetto che mi facevano le urla degli allenatori. Preferisco guadagnare la loro attenzione altrimenti".
Due domande di rito. La prima,  è per che squadra tifi. La seconda, cosa ne pensi della non qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia.
"Ti do la stessa risposta che do sempre quando me lo chiedono. La prima squadra di cui sono tifoso sono i miei Pulcini. La seconda la Triestina e terza la Nazionale. In serie A invece tifo sempre per le squadre più deboli. Quanto alla Nazionale: ho sofferto e mi sono incavolato come tutti per l’eliminazione. Penso che una simile catastrofe sportiva possa essere, finalmente, l’occasione per ricostruire un sistema in grado di durare e ridare competitività al calcio italiano. Chi ne capisce più di me ha constatato come non sia un problema di eccesso di giocatori stranieri, comunitari, che è una situazione comune anche a campionati inglesi, spagnolo e tedesco. Il problema nasce dal basso. Da anni in Italia, già nel settori giovanili, si dedica gran parte degli allenamenti all'insegnamento della tattica a scapito delle capacità individuali e tecniche che andrebbero, viceversa, stimolate ed esaltate soprattutto a questa età".
 Avresti una tua “ricetta” per il calcio italiano?
"Seguire l’esempio delle scuole calcio in Spagna e in Germania, che stanno raccogliendo eccellenti frutti e in maniera non estemporanea".

Pugaccio

 @RIPRODUZIONE RISERVATA

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  Scritto da La Redazione il 07/12/2017
 

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