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Edizione provinciale di Pordenone


I PROTAGONISTI - Sandro Andreolla: il calcio giocato non mi manca

L'intramontabile fuoriclasse adesso allena i Giovanissimi dell'Union Feltre. E' ha parecchie cose da ricordare e da suggerire...

Professionale, professionista oltre e al di là delle categorie, giramondo per opportunità, “spostarsi per tentare di vincere, segnando e contribuendo a riuscirci, è stata la mia vocazione, nel rispetto della presenza da dedicare a mia figlia, alla quale trasmetto i valori a cui lo sport mi ha educato” dice l’ex fantasista di Itala San Marco e PordenoneSandro Andreolla, che continua: “Pur scegliendo di tornare a casa la sera, ho avuto la fortuna di poter valutare più offerte, di vincere cinque campionati e tre Coppe, farmi conoscere in Veneto e in Friuli e ricevere dal calcio molto più di quanto ho dato. Sono stato molto fortunato. Inoltre, pur non rimanendo a lungo in una società, ho stretto una certa serie di amicizie conservate con gelosia, che hanno contribuito a rendermi la persona che sono. Union Ripa a parte, dove mi considero a casa, in Friuli conservo ricordi stupendi, i migliori della mia carriera, a Tamai, a Pordenone dove nel 2008/09 segnai venti gol, a Gradisca d’Isonzo facevo un’ora e mezza di macchina con il sorriso, perché sapevo di incontrare gente da cui avrei ricevuto delle attenzioni sincere. In Friuli c’è molta voglia di fare gruppo e di stare insieme, oltre al risultato, prima e dopo la partita. Calcisticamente non ho mai percepito la differenza qualitativa tra le due regioni, io sono veneto di Follina, perché sono sempre stato in piazze molto organizzate.”

Sandro, onesto intellettualmente, dice: “Rimpiango di non aver mai giocato tra i professionisti, sinceramente non ho mai ricevuto un’offerta concreta. Probabilmente inizialmente mi è mancato un po' di carattere e di mentalità, per me Tamai è stato lo spartiacque in cui mi sono reso conto, inoltre, che fisicamente non ero così prestante come avrebbe dovuto essere un fantasista. Avevo grandi qualità tecniche, ma fisicamente ero un po' gracile. Ho intrapreso la carriera di allenatore per raggiungere ciò che non ho realizzato da giocatore, ovvero vincere la Serie D e allenare da professionista. Certo, so che ci vorrà del tempo. Con un ottimo riscontro ho iniziato coi Giovanissimi sperimentali dell’Unione Feltre, fusione tra Union Ripa e Feltrese, l’anno scorso abbiamo vinto il campionato e quest’anno, nel girone Elite, assieme a Montebelluna, Liventina, Giorgione, siamo matematicamente secondi e quindi qualificati alle finali regionali, dove ci giocheremo le fasi nazionali. A mio avviso bisognerebbe ripartite dai settori giovanili e dedicare più ore al campo, al divertimento e al contatto con il pallone. Bisogna cercare di far innamorare nuovamente i ragazzi allo sport all’aria aperta, come la mia generazione si perdeva nei sagrati, nelle piazze e nei campi di periferia”.

Prende una pausa e continua, perché la trafila delle sue esperienze è invidiabile: “Ho iniziato a calciare nel mio paese trevigiano, a Follina, quindi passai a Conegliano con Petrin e alla Reggiana dove ho fatto nove panchine in Serie B. Fui in Interregionale a Pieve di Soligo, feci un biennio a Cordignano, San Donà, San Polo di Piave, Tamai, Pordenone, nello Jesolo di Tedino segnai 18 goal, Itala San Marco di Zoratti, Liventina Gorghense, Union Ripa e ho chiuso tra Pravisdomini e Cisonese. Ho collezionato 545 presenze e 233 goal, il più importante è stato l’uno a zero con il quale abbiamo vinto con la Liventina Gorghense la Coppa Veneto battendo l’Abano. Ci sono stati due momenti difficili nella mia carriera, il primo quando retrocedetti a San Polo nel 2004/05, fu la mia unica débâcle. E i primi sei mesi di stagione a Pravisdomini sono stati da cancellare. Invece ricordo con piacere una sciarpa regalata dagli ultras triestini al “Rocco” nel 2012, dopo una nostra vittoria con l’Union Ripa, quando in estate sfumò per un niente l’approdo alla squadra alabardata. Questo episodio rappresenta la mia essenza del calcio. Ho chiuso nel momento più adatto e sono ripartito con entusiasmo in nella nuova avventura da allenatore”.

Chi non ricorda il colpo di tacco, diventato assist gol, proprio al “Rocco”? Oppure una delle sue innumerevoli invenzioni? Come maestri ha Zoratti e Pavanel nella capacità di gestire il gruppo, Tomei gli ha trasmesso una mentalità vincente, ricorda Amodeo, la punta del Carlino ed ex compagno a Jesolo, come uno dei più forti calciatori incontrati. Inoltre Alessandro Peroni rimane un esempio nell’ambiente neroverde.

Sandro ci sorprende alla fine, quando tutti lasciano per stanchezza o per incredulità. Ci regala due considerazioni: “Rileggerei “Il ritratto di Dorian Gray” e la trilogia di Dan Brown, consiglio sempre di leggere, leggere è la migliore avventura. Gioco a biliardo, a carte trevigiane, seguo il tennis, il golf e lo snooker o biliardo all’inglese”.

Quindi, al novantacinquesimo di un’intervista priva di nostalgia, e ce ne sarebbe dovuta essere molta, il Savicevic dei dilettanti che da un paio di anni manca all’appello del calcio giocato, un’epoca di ottimi calciatori è finita, ci ricorda le giuste proporzioni: “Il calcio giocato non mi manca e se non avessi fatto il calciatore sarei in un rifugio di montagna a gestire una malga” dice Sandro, “è un altro dei miei sogni.”

Come a dire, in fondo, che ogni strada è solo una strada e per valutarne la validità della percorrenza bisogna aver raggiunto una grande chiarezza, dettata dalla disciplina, liberi dalla paura e dall’ambizione. Quindi ci si può porre l’unica domanda da porsi: “Questa strada ha un cuore?”. Se lo ha, la strada è buona, se non lo ha, non serve a niente. Sandro, salutando il suo Friuli calcistico, ci ricorda di averci donato qualcosa di indimenticabile. E non è detto che non si ripeta nella vesti di allenatore. Tanti auguri Sandro.

LG  

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  Scritto da La Redazione il 18/04/2018
 

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