IDEE e PENSIERI - Il calcio-virus è più forte del corona-virus
Calciatore anzianotto e scrittore effervescente, Lucio Gava indaga sul senso più profondo di chi, "recluso" in casa in questi giorni assurdi, cerca e trova dentro di sé le motivazioni per allenarsi nonostante tutto...
Vogliamo annunciare subito una scoperta, una scoperta che probabilmente in un momento di lutti, di reclusioni e di visioni apocalittiche non sarà rilevante come quella dei vaccini, di nuovi respiratori e di mascherine. Eppure, eppure, eppure lo sanno tutti coloro che seguono Friuligol e il nostro amico Franco Poiana, che seguono il calcio che più ci appassiona, quello che viviamo in prima persona. Eppure sappiamo che nonostante il lungo intervallo cui l’arbitro severo ci ha confinato, nessuno ci potrà levare il diritto di indossare nuovamente e a fatica gli scarpini induriti, e, almeno per ora, sognare di riprendere a correre. Insomma, il calcio non morirà mai, finché custodiamo il ricordo del calcio. Il calcio non morirà mai perché non è morta la poesia quando avrebbe dovuto morire, non è morta la bellezza con l’inattività, figuriamoci se morirà il calcio che non è né poesia né bellezza, il calcio è una specie di virus letale, qualcosa di molto più grave di una polmonite, qualcosa di molto più grave anche di un arresto cardiaco.
Non ci fermiamo a far poesia, anche se saremmo tentati, perché il calcio ha bisogno anche di noi, soprattutto ora. È difficile dimenticare le incombenze dell’arbitro virale, lo ammetto, eppure ricordo l’utilità delle minuzie, delle minuzie calcistiche nel dare un senso alla vita. Disteso sul tappetino casalingo, tra hastag e slogan colmi di speranza, un giocatore si chiede a cosa serva faticare, pur sapendo che probabilmente non servirà, insomma, non a breve. Un giocatore di quasi 37 anni come me, per carità, un dilettantissimo, certo, #andràtuttobene, certo, #iostoacasa, certo, #frapocoappenderòlescarpealchiodo. Un giocatore simile si chiede perché deve ancora faticare per veder svanire anzitempo, probabilmente, una stagione calcistica. Lui, poi, che di stagioni ne ha viste sfumare diverse, diverse in maniera drammatica, e non a causa di un arbitro maligno.
Un giocatore simile chiama chi gli sa dare delle risposte probanti, chiama Stefano Gaetani, libero professionista, doppiamente laureato magistrale in Fisioterapia e in Scienze Motorie Preventive e Adattate, figlio dell’ex Udinese e Coneglianese, Benedetto Gaetani; nonché preparatore atletico dell’Asd Sedegliano, militante in Prima categoria girone A, capitanata dal presidente Andrea Sava. Stefano gli spiega: «Durante l’attività agonistica il giocatore deve essere esposto a determinati carichi di lavoro settimanili che gli permettono di gestire le sollecitazioni dei novanta minuti. Una sosta forzata del campionato che non prevede una data di ripresa, non consente una programmazione di un recupero. Perciò è fondamentale lavorare sulle carenze di ciascun atleta, quindi sulla mobilità delle articolazioni principali per scongiurare gli infortuni. L’inattività porta inoltre a delle perdite condizionali e metaboliche quali la forza, la velocità, la potenza aerobica, ossia la capacità di resistere a determinati sforzi e di recuperare nel minor tempo possibile. Tali perdite si possono quantificare in circa il 25% in meno della condizione ottimale. Gli esercizi che propongo ai miei atleti sono finalizzati a mantenere queste capacità a un livello superiore al minimo, si tratta di non spegnere il loro motore. Lo sforzo del circuito metabolico ad alta intensità, ripropone al 60 per cento lo sforzo compiuto in gara, comprende un riscaldamento preventivo, esercizi vari di plank, affondi vari, piegamenti e squat. Serve a mantenere un buon livello di fitness e a ridurre la perdita metabolica e il massimo consumo di ossigeno dal 25% al 10%. All’eventuale ripresa è come se ripartissimo da zero, o quasi, e quindi ci vorranno almeno tre settimane per raggiungere una nuova condizione discreta. Per quanto riguarda l’alimentazione mi sentirei di consigliare dei pasti più piccoli e ripetuti, oppure di ridurre la quantità di cibo ingerita, nonostante le esigenze del sistema nervoso sembrerebbero chiedere il contrario» conclude Stefano.
Terminato il circuito metabolico, ringraziato Stefano per la fatica offerta, oltre che per la consulenza, il nostro atleta ha una piccola tachicardia e la maglietta sudata, non l’avrebbe detto, eppure quegli esercizi dal recupero ridotto lo provano, ma giura che proveranno anche i ragazzi più giovani di lui, tanto per capirci. Il modesto atleta di 37 anni che si ferma e attende un mese per sapere quando e se riprenderà a giocare, non è euforico, ma nemmeno triste. Fino a qualche giorno prima pensava di dire addio, addio alle corse, non al calcio, non ancora; addio perché qualche fastidio bussava alla porta, finalmente una pausa, ha pensato, una pausa dalla corsa. Ora, dopo tre settimane di reclusione, il nostro anziano si rende conto di un paio di cose, di quelle salvifiche, di quelle che l’hanno spinto ad accendere il computer e a scrivervi, ragazzi, colleghi, amici, avversari, che senza di voi non avrebbe senso né giocare, né scrivere, né compiere alcun circuito metabolico.
La prima valutazione riguarda l’intensità della gioia provata nel sentirsi vivo, quindi in movimento, pur all’interno del soggiorno del suo piccolo appartamento, disturbando con piacere la vicina del piano di sotto. Muoversi dopo giorni d’inattività, saltare, fingere la corsa, sudare, è ancora il piacere più grande, d’altronde, oltre alla corsa, al calcio e all’arbitro virale, cosa resta? Beh, sì, qualcos’altro resta, mi direte, qualcosa di cui riscopriamo il valore proprio in questi momenti.
Viene quindi la seconda valutazione. Che cosa resta degli sforzi di questo atleta, cosa resta Franco Poiana? Resta poco perché siamo stati delle pianure rispetto alle cime che arruoliamo nel nostro Fantacalcio settimanale.
Che cosa resta dell’arbitro severo? Resta chi vorrà restare, chi sarà potuto restare. Non resta una lezione, o sarà una lezione che durerà per poco tempo, per fortuna, perché alcuni, più giovani di noi, Franco, la dimenticheranno in maniera più veloce, perché sono più veloci, più flessibili (tecnicamente più scarsetti, però, ma lasciamo andare...), e saranno loro a ricordarci perché abbiamo continuare a scrivere e ad allenarci nei circuiti metabolici, pur non scorgendone l’utilità immediata.
Saranno loro a ringraziarci di non aver mollato, loro, loro che ci guardano e ci leggono, loro, che in un domani più lontano del nostro, correranno un po' più in là di noi, e un po' più di noi, speriamo, a favore dei nuovi giovani, alla faccia degli arbitri virali, seccanti, pignoli, necessari.
Buon prossimo calcio a tutti.
Lucio Gava
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