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Edizione provinciale di Udine


IL PERSONAGGIO - Fortunato: Wembley e lo scippo del Maracanà

Giuliano da Tricesimo festeggia oggi gli 80 anni. Ricordando il suo percorso calcistico con Gorizia, Triestina, Vicenza, Milan, Lazio e Lecce. “Calciavo sia di destro che di sinistro: quanta gente ho “seduto”, quanti gol ho fatto fare…A Londra non giocai all’ultimo momento per ragioni tattiche, in Brasile ci rubarono l’ Intercontinentale...” E smonta Sacchi: “Ha rovinato il calcio…L’Udinese? Mi scartò.” Degno di nota anche il suo transito tra i dilettanti. “San Daniele che esperienza: Gianni Giusto grande presidente e persona super”

La vita è volata via veloce. Come le sue scorribande sulla fascia. Nessuna preferenza tra destro e sinistro: e altro che piedi invertiti per andare alla conclusione. Ai suoi tempi solo metà era il campo da coprire, con spirito di servizio e totalmente a supporto degli attaccanti. Il tempo si è intanto mangiato gran parte dell’esistenza e Giuliano Fortunato da Tricesimo festeggia oggi ottant’anni. Un buon momento per voltarsi un attimo indietro e pescare nel pozzo dei ricordi. Da Gorizia a Trieste, da Vicenza a Milano, da Roma (sponda Lazio) a Lecce: quando il calcio era di 11 giocatori senza sostituzioni, il pallone bagnato pareva un macigno mentre, di mute di maglie, se andava di lusso, ce n’erano due…

“Il mio percorso parte dal mio paese, Tricesimo - attacca Giuliano - non avevo alle spalle alcun settore giovanile e, dopo essere stato scartato dall’Udinese, l’allora presidente della Pro Gorizia, Aldo Paoli Tacchini, che intratteneva rapporti di lavoro con la mia famiglia, mi diede una rapida occhiata sul campo. Per arruolarmi gli bastarono dieci minuti.”

La corsia preferenziale di Tacchini era Gorizia - Trieste - Vicenza…
“Infatti. Dopo due anni trascorsi sull’ isontino ne seguirono altrettanti alla Triestina, appena retrocessa della serie A. E cosi avrebbe dovuto essere anche in Veneto dove, invece, rimasi una stagione e uno spicchio".

Con il Lanerossi momenti indimenticabili, ma anche qualche dispiacere.
“A Vicenza segnai il primo gol in A, proprio all’esordio. Era il 10 settembre 1961, battemmo 2 - 0 il Catania di un certo Guido Macor…”.

Con mister Scopigno, però, una problematica convivenza.
“Non mi vedeva proprio ed io, contrariamente a qualche altro mio compagno che se lo “lavorava” pur di giocare, non ero un ruffiano. Cosi non trovai molto spazio. Ma poco male visto che, durante la sessione autunnale del calciomercato, passai nientemeno che al Milan".

Un capitolo pieno di cose da raccontare.
“Fin dal trasferimento. Un giorno proprio Tacchini il quale, diciamo cosi, si occupava della mia carriera, mi chiese di preparare la valigia. Senza, peraltro, comunicarmi la nuova destinazione. Fu un viaggio incredibile quello tra Vicenza e Milano: non mi disse una sola parola. Man mano che passavano i caselli cresceva in me la confusione: Verona, Brescia, Bergamo e noi tiravamo sempre dritti. Figuratevi la mia sorpresa quando entrammo nella sede del Milan…”.

Primo impatto?
“Indimenticabile. Incontrai subito mister Rocco, che si rivolse al sottoscritto cosi: “Ciò, mona de un furlan, te xe riva’!” Era un personaggio incredibile di grande spessore umano. Non solo un allenatore, ma un padre: trattava tutti allo stesso modo".

Dal 1962 al 1967 con il Diavolo. E’ Wembley il picco più alto?
“Sicuramente. La prima Coppa Campioni di una squadra italiana: disputai gran parte delle gare eliminatorie, ma la finale la guardai dalla tribuna".

Eppure Rocco ti stimava.
“Non fui schierato soltanto a causa di motivazioni tattiche. Non sapevamo se Coluna ,uno degli assi del Benfica e in condizioni non perfette, avrebbe giocato. Una volta avuta la certezza, il mister inserì al mio posto un elemento più difensivo, Pivatelli, che gli diede subito due “legnate”. Rocco fu onesto con me, poi vincemmo e andammo in giro per Londra tutta la notte!”.

Meno bene andò in autunno, a Rio de Janeiro.
“C’era in palio la Coppa Intercontinentale, un trofeo importantissimo all’epoca. Vincemmo la prima sfida a san Siro per 4 – 2, ma fummo sconfitti con lo stesso punteggio in Brasile. Nella terza e decisiva partita, che il regolamento di allora imponeva di disputare sempre in loco, ci condannò un assurdo rigore concesso per un fallo avvenuto… 15 metri fuori area! Maldini fu espulso, terminammo in dieci, ma almeno l ’arbitro (l’ argentino Juan Brozzi, ndr) venne successivamente radiato. Intanto, però, la coppa l’avevano alzata quelli del Santos".

Di quella missione fallita ti rimane, comunque, un “trofeo” personale.
“Di essere ancora oggi l’unico giocatore friulano ad aver calcato il prato del vecchio Maracanà. Uno stadio che, all’epoca, poteva ospitare 220mila spettatori…”.

Torniamo al capitolo rossonero: nessuno scudetto, ma “solo” una Coppa Italia.
“Furono comunque grandi anni. Magari non segnavo tanto, però facevo segnare eccome. E quanta gente ho “seduto”, prima di crossare. E non a caso come succede oggi, ma mettendo la palla a disposizione del compagno. Con estrema precisione".

Ai tempi il tuo ruolo era definito ala destra.
“Si, ma non ero male nemmeno con il sinistro, perciò me la cavavo anche sull’altra fascia. All’epoca ci chiedevano solo la fase offensiva, bisognava farla bene. E se talvolta mi trovavo di fronte Facchetti quando Giacinto si sganciava, doveva pensarci qualcun altro".

A proposito di derby della Madonnina.
“Un' altro bel ricordo. Quello del gol realizzato in Milan - Inter del 19 gennaio 1964: era un recupero, infilai l’ 1- 0 (destro all’incrocio, ndr), poi raddoppiò Rivera. Finale 2 - 0 per noi".

Che tipo era il “Golden Boy”?
“Malgrado fosse ancora giovane, dimostrava già una spiccata personalità. Si capiva fin da allora che avrebbe costruito una grande carriera".

Dopo Rocco, in panchina arrivò un certo Liedholm.
“Super giocatore, ottimo mister. Non alzava la voce, era educato, mai volgare, sapeva sdrammatizzare. E quell’umorismo…Una volta mi comunicò cosi l’esclusione: Giuliano ti vedo bene, oggi giochi largo. In tribuna…”.

Amici sulla sponda nerazzurra?
“Diversi. Ma uno vero, che sento ancora oggi, è Mario Corso. Anche perchè è stato mio testimone di nozze".

Chiuso con il Milan, l’approdo alla Lazio.
“Tre campionati di B e due di A, con una doppia promozione e una Coppa delle Alpi. Stava nascendo la squadra che, anche per una serie di coincidenze favorevoli, nel 1974 avrebbe vinto lo scudetto: c’erano già i vari Martini, Oddi, Wilson, Chinaglia. Mister Maestrelli ? Preferisco sorvolare…".

Com’era la vita nella capitale?
“La città, si sa, è bella e tentatrice, ma ho sempre fatto una vita regolare. L’importante era vincere il derby: avresti vissuto di rendita tutto l’anno…”.

Ultime due stazioni a Lecce.
“C’era la possibilità di ritornare a Vicenza. Ma in Puglia, nonostante mi attendesse la serie C, offrivano un biennale: soldi sicuri ed esentasse, visto che eravamo considerati dei dilettanti. E scelsi di monetizzare. Ma non solo: mi venne infatti concessa anche la possibilità di partecipare al corso allenatori".

Tornato in Friuli, sei tuffato per un periodo nel balòn nostrano.
“Mi scuso se dimentico qualcuno, ma ricordo i passaggi alla Tarcentina, a San Daniele, al Tre Stelle, a Teor, a Cassacco, a Nimis ed a Savorgnano. La parentesi più bella? Senza dubbio San Daniele, dove allenavo ed ho anche smesso di giocare. Quanti prosciutti mi hanno regalato! Un pensiero speciale va all’indimenticabile Gianni Giusto: persona intelligente e presidente indimenticabile. I dilettanti adesso? Li guardo di rado".

Torniamo un attimo al calcio attuale: ti diverte?
“Provo a concentrarmi sulle partite, anche sui campionati esteri, ma non mi diverto granchè. Se c’è un giocatore che mi assomiglia? Forse Verdi del Torino".

Perché non ti diverti?
“Perché e un calcio troppo legato al business. Girano stipendi immorali, si parla di settori giovanili solo a parole, tatticamente è tutto stravolto. E tutto è cominciato proprio al Milan…”.

Ovvero?
“Sacchi è stato la rovina. Ha tolto le ali, ha annullato i ruoli. La zona per la quale va tanto famoso? Veniva chiamata WM, la faceva già l’Ungheria: ed era il 1954. Poi, insomma, con i giocatori che si ritrovava, era difficile non vincere…”

La Var ti ha conquistato?
“Per niente. Anzi, va abolita. Sono e sarò sempre per l’eventuale errore umano."

Il campionato attuale è da…
“Sospendere immediatamente, ripartendo da zero. Se si fosse proseguito senza questo problema del virus, credo che la Lazio avrebbe potuto vincerlo".

Rimpianti? Forse la Nazionale?
“Ho indossato in quattro occasioni la maglia dell’Under 21 segnando una rete. Per quella maggiore sembrava che, ad un certo punto, mi tenessero sotto osservazione. Ma non è mai successo: pazienza.”

Quello che è stato è stato, ma non è comunque proprio cosi poco. Auguri, Giuliano! (r.z.)

Nelle foto: Giuliano Fortunato oggi e in due scatti d’epoca: in solitario, con la casacca del Milan e assieme ai due califfi” Rosato e Mora.

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  Scritto da La Redazione il 12/05/2020
 

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