PRO ROMANS MEDEA - Per non dimenticare: i fratelli Calligaris
Il vista del centenario di fondazione della Pro Romans (dal 2012 Pro Romans Medea), fondata nel 1921, il Circolo “Mario Fain” ed il gruppo di ricerca “I Scussons”, di Romans, rendono omaggio al glorioso sodalizio, pubblicando un libro dal titolo “Armando e i suoi fratelli - Le loro storie raccolte in uno stadio”.
Accadde che Armando, giocando in un cortile vicino a casa, in via Raccogliano, venisse minacciato da un cane e un adulto lì vicino, per difenderlo impugnò una zappa per impaurire la bestia, ma finì per colpire Armando alla testa, procurandogli uno sfondamento nella parte destra del cranio, poco sopra l’occhio. Armando superò quel trauma e visse sereno, giocando a calcio con la Pro Romans, il Crda Monfalcone, la Saici Torviscosa e l’Omegna in Piemonte. Di lui si interessarono anche alcuni club professionistici, ma quella ferita alla testa non passò mai inosservata e venne sistematicamente scartato.
Alla fine degli anni Quaranta, il suo cervello, forse compresso da quello sfondamento cranico, gli provocò le prime crisi epilettiche, con comportamenti aggressivi, per i quali, nel 1951, venne ricoverato per un paio di settimane nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, poi venne dimesso e non ebbe più alcuna crisi per 3 anni. Crisi che si ripresentarono nel 1954, quando venne ricoverato altre due volte in manicomio, l’ultima in modo definitivo. Visse il ricovero in modo straziante, con sporadiche crisi epilettiche e lunghi periodi di lucidità, che gli impedivano di accettare quella forzata degenza. Nel 1960 a dirigere l’ospedale psichiatrico di Gorizia, giunse Franco Basaglia, che analizzando la storia di Armando, nel 1964 lo inviò a Udine per farlo operare alla testa dal professor Ceccotto, ritenendo che potesse guarire. Venne operato e per diversi mesi visse con la mente lucida, poi ebbe altre crisi epilettiche e per lui tutto franò. Cadde in una sorta di astenia, rifiutò le cure e si ammalò di broncopolmonite, che lo portò alla morte, il 4 ottobre 1966. Aveva 43 anni.
Il libro cade pure a 40 anni dalla morte di Basaglia, come ricorda Claudia Panteni, presidente del Circolo “Mario Fain”, scrivendo che: “in una comunità di oppressi quali erano i pazienti degli ex manicomi, privati della libertà, privati dell’identità; anche la storia di uno ci fa capire l’enormità delle sofferenze e la grandezza della rivoluzione basagliana. Molte cose sono state scritte, studiate; documentata e scandagliata una realtà che per fortuna è stata scompigliata e buttata all’aria dall’intelletto e dal cuore di Basaglia, ma basta la storia di uno per capire quanta sfortuna per chi non ha fatto in tempo a respirare quel nuovo ossigeno. Basta la storia di uno per commuoverci. Ridare voce e dignità ad un oppresso è sempre nobile”.
Edo Calligaris
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