VI DICO LA MIA - Ma perché?
Bisogna cambiare modo di approcciare il calcio a partire dal Settore Giovanile. Lo si evince da come la Figc in questi ultimi anni stia cercando di sollecitare un cambiamento nella mentalità. Un processo molto delicato. I primi a non crederci e a non voler adeguarsi sembrano essere purtroppo gli addetti ai lavori
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La stagione calcistica 2023/24 sta per essere archiviata e con essa, al solito, anche la primavera, quest’anno piuttosto “umida” e generosa a tal punto da regalarci diverse secchiate di acqua tra aprile e maggio. Una primavera però che è sempre capace di regalarci momenti di serenità ogni qual volta ci spalanca il suo cielo azzurro consentendo a noi appassionati sportivi di apparecchiare quei bellissimi raduni impreziositi dal sole che hanno come protagonisti assoluti i bambini calciofili appartenenti alle categorie Primi Calci e dei Piccoli Amici (5 - 8 anni).
Domeniche passate in un clima sempre molto disteso, tutti tranquilli a godersi lo spettacolo che solo loro, i bimbi, sanno regalarci. Una gioia vederli correre a testa bassa cercando di domare una sfera chiamata pallone. I mister, più corretto definirli educatori, li trovi tutti sereni, nessuna contestazione o recriminazione, puro gioco e divertimento. I genitori in completo relax li osservano orgogliosi ed anche emozionati; qualche sorriso e tanti applausi di incoraggiamento rivolti proprio a tutti. Un pubblico direi molto simile a quello che trovi ai meeting di atletica leggera.
Poi, compiuti gli otto anni, cambia la categoria e cambia il mondo! Ma perché gli stessi attori si trasformano d’incanto in Dr. Jekyll and Mr. Hyde? Troppi i mister che troppo spesso sgridano, riprendono, urlano, impartiscono lezioni di tattica all’interno del rettangolo di gioco il tutto mentre, purtroppo, all’esterno i genitori iniziano la loro carriera di tifosi. I papà in generale si distinguono per essere tifosi “esperti”. A sentirli parlare li percepisci già proiettati a disquisire le gesta dei loro figli come futuri protagonisti assoluti a San Siro, al Bernabeu o a Wembley! E l’arbitro? E gli avversari? E il risultato? E il tecnico? E il frasario quantomeno scurrile se non blasfemo? Ma anche “la” arbitro, il colore della pelle, la religione, insomma, credetemi, meglio allontanarsi e mettersi in disparte! E non mi basta pensare che questi rappresentino una piccola minoranza: per me sono sempre troppi e molto irritanti. Un particolare da non dimenticare mai: ripeto tutto questo inizia a soli 8 anni compiuti! Chissà cosa passerà mai per la mente ai loro figli in quei momenti. E le mamme? Di solito sono solo semplici e composte sostenitrici ma quando si scatenano non ce n’è davvero per nessuno perché nell’eloquio, si sa, sono maestre, eccome se lo sono! In questi casi i maschi machos al loro seguito si sentono subito in dovere di intervenire e allora largo ai galli da combattimento. La partita, pardon la contesa, va vinta e si vince solo se fai più gol dell’avversario e non importa se poi essa qualche volta si trasformi in corrida! Il tempo delle scuse? Eventualmente, forse, dopo.
Ma perché? Troppi addetti ai lavori, mi riferisco ai tesserati, a quelli formati dagli organi tecnici della Federcalcio, volentieri se ne vanno per la tangente infischiandosi bellamente delle regole. L’unico freno che a mala pena riescono ad accettare è quello basato sull’aspetto educativo ma dura poco e spesso è solo di facciata. Regge nella categoria Pulcini, poi evapora via via con l’aumentare dell’età dei calciatori.
Eppure le disposizioni e le regole sono chiare. Nelle prime categorie ci sono i giochi di situazione, i duelli, gli attacchi a una porta e alle difese di una linea che fanno punteggio al pari della partita dove il conteggio del risultato è completamente stravolto. Non vincerai mai una partita dei Pulcini 6-4! Infatti ogni tempo, anche se segni 10 volte più dell’avversario, in realtà ti dà un punto e il pareggio un punto a testa; in certi casi per bilanciare le forze in campo è consentito a quelli che perdono persino di giocare con un calciatore in più; le gare avranno al termine risultati molto contenuti che non sono più in relazione con i gol fatti; potresti, infatti, fare più gol e perdere la gara; in certe competizioni potresti vincere la partita ma perdere il confronto nel computo totale. Non c’è classifica, ciò che accade durante il confronto tra due gruppi squadra di diverse società nasce e muore il giorno stesso, senza alcun seguito. Però se ti fermi al chiosco capisci che il ragionamento da parte di tutti ruota solo intorno ai gol fatti e a quelli subiti, insomma al risultato della partita, il resto diventa quasi irrilevante anche davanti al fatto che recentemente la Federcalcio ha persino vietato di postare il risultato sui social.
Il messaggio sarebbe dunque chiaro: da quando inizia il percorso di apprendimento nel settore giovanile fino alla categoria Giovanissimi in cui si gioca in 11:11 e la direzione di gara viene affidata ad un arbitro dell’Aia, tutto quello che vediamo dovrebbe intendersi come una rappresentazione rivolta a delle semplici esercitazioni cosiddette “situazionali”; tutto viene svolto per insegnare alle categorie dell’attività di base, cioè fino alla categoria Esordienti, il gioco del calcio a spicchi dove il risultato dovrebbe davvero essere l’ultima cosa che conta.
La partita non dovrebbe avere più la stessa centralità che aveva solo pochi anni or sono. Pertanto, passi per i genitori ma i tesserati queste cose le sanno ma fanno finta di non capire, o meglio, non le vogliono accettare. L’allenatore continua purtroppo ad essere valutato secondo il solito parametro: se vinci sei bravo. I genitori, poi, chiedono di vincere anche se con sfumature diverse ma il concetto resta sempre quello.
Ricordo i miei primi allenatori (noi ancora non li chiamavamo mister) che quando arrivava una palla ci urlavano di allargare le braccia e tenere alti i gomiti; quando cercavi di colpire di testa i più raffinati ti suggerivano anche di appoggiare il petto alla schiena dell’avversario per prendere dimestichezza con il contatto fisico senza fare fallo. Oggi invece si assiste a partite in cui ci sono squadre dove i loro giocatori, prima che la palla raggiunga l’avversario da contrastare, spingono da dietro commettendo fallo e lo fanno tutti, è sistematico. Se l’arbitro, sia egli un dirigente arbitro o uno ufficiale, sorvola, allora si deve fare così perché è vantaggioso ai fini del risultato: l’unica cosa che conta è vincere e tutto il resto, quindi, poco o nulla! Questo ti fa pensare che durante la settimana siano proprio educati ad essere così smaliziati. Il paradosso consiste nel fatto che bisognerebbe, per contro, fare esercitazioni rivolte a proteggere la palla, non a conquistarla commettendo irregolarità.
E già che ci siamo due parole in merito all’auto-arbitraggio. I bambini che stanno giocando regolamentandosi in autonomia con il Dirigente arbitro a bordo campo pronto ad intervenire solo in casi molto critici come un infortunio o per spiegare e chiarire aspetti inerenti alla correttezza interpretativa del regolamento, dovrebbero essere istruiti dal loro educatore ad alzare il braccio quando commettono un fallo. Bello!
Ma perché allora si vede alzare il braccio quasi sempre e solo chi subisce un fallo e non chi invece lo commette come da regolamento sull’auto-arbitraggio? Guardate che vista da questa angolatura, pensateci, questo atteggiamento assume le sembianze di una protesta rivolta all’avversario e all’arbitro!
Il regolamento recita anche che alla ripresa del gioco da fondo campo sia vietato pressare l’avversario. Non si è mai visto un bambino alzare il braccio quando spinge da tergo andando in pressing e per lo più con le mani sulla schiena del malcapitato avversario. Si badi bene che lo fanno soprattutto quei bimbi tesserati con le squadre dei soliti noti allenate per vincere. In questa maniera e soprattutto a queste età, andando subito alla ricerca della riconquista della palla, alle spalle dell’avversario, perderanno la possibilità di imparare ad affrontarlo quando ce l’avranno di fronte nei duelli.
Vero è che uno dei punti critici da sviluppare nel calciatore è sempre stato quello relativo agli spostamenti laterali; ebbene ragionando in quest’ottica si può affermare che le opportunità di confronto 1:1 saranno sempre più ridotte al minimo. Chissà, bisognerebbe forse anche partire da questi presupposti per comprendere come mai l’Italia non sia più capace di sfornare difensori di altissimo livello come un tempo. A me pare che ci si concentri ad insegnare le cose che si dovrebbero imparare da grandi. Pressing alto e rapidità a discapito della tecnica individuale. Sembra proprio che sia più importante staccarsi dalla marcatura dell’avversario, imparare a smarcarsi piuttosto che a gestire la palla o, come si diceva un tempo, a dare del tu al pallone.
“Sì, hai ragione Loris, ma guarda che queste le fanno da soli, non c’è bisogno di insegnargliele! Sono piccoli ma sanno essere molto furbi e al tempo stesso scorretti.”
Se è per questo anche le parolacce non le insegniamo mica noi, però gli insegniamo il contrario, li correggiamo. Ma perché non accettiamo proprio noi adulti di cambiare registro spostando l’obiettivo centrato al solo risultato in favore di una didattica “situazionale”? Con ogni probabilità si potrà constatare che ci avanzerà più tempo da dedicare alla tecnica, alla tattica, alla giusta comunicazione, eccetera piuttosto che alle “furbate” apprese osservando il mondo dei “grandi” dove il fine giustifica il mezzo e che se il fine si materializzerà in un ritorno economico sarà facile constatare anche come il passo diventerà ancor più spedito.
Concludo questa mia disamina con un’ultima riflessione. Il Maradona da piccolo, incantava per la tecnica sopraffina e non certo per “la mano de Dios” usata da grande!
Loris Garofalo
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