FOCUS - Perché la Nazionale italiana perde e sembra non esistere più?
Le cause sono molteplici, ma ci sono due considerazioni fondamentali da sottolineare

So che il mio intervento farà storcere il naso a qualcuno o arrabbiare qualcun altro, ma ho le spalle larghe e resisto bene.
Quando un calciatore straniero arriva in Italia tendenzialmente nel primo periodo fa fatica ed i commenti grossomodo sono sempre gli stessi: deve abituarsi al calcio italiano. Il punto principale del problema è tutto lì.
Giocare all’estero per un calciatore significa calarsi in una realtà diversa dalla propria, fare una nuova esperienza, confrontarsi e misurarsi con qualcosa di diverso, apprendere ed immergersi in una parte di mondo culturalmente e socialmente diversa. In sostanza il calciatore fa esperienza e cresce.
Nella nazionale italiana tra i calciatori di movimento uno solo gioca all’estero (Jorginho), mentre tutti gli altri continuano in Italia, a differenza della nazionale svizzera che ci ha umiliati schierando gran parte dei suoi con esperienza internazionale, così come fanno tutte le altre nazionali di questo europeo.
I nostri calciatori mancano di questa esperienza, non sono sufficienti poche partite giocate solo da qualcuno nelle coppe europee, il processo di crescita e l’esperienza sono ben altra cosa. I nostri calciatori non vanno all’estero, non abbandonano il “nido”, meglio restare in casa ed essere coccolati come degli adolescenti ai quali tutto è dovuto. Il mondo è cambiato ed il mondo va vissuto in modo diverso.
Personalità, maturità, coraggio, voglia di mettersi alla prova, di lottare, battersi per un obiettivo, sono aspetti che si acquisiscono seguendo un processo di crescita personale, che nell’Italia calcistica è mancato e che rispecchia in modo più largo tutto il nostro paese: meglio la sicurezza di casa invece di intraprendere una strada diversa che porta a nuovi orizzonti. Anche per questo l’Italia sta invecchiando.
La seconda considerazione è che ai ragazzi non viene insegnata la tecnica individuale, e di questo la complicità è della Federazione che distribuisce alle società giovanili un manuale di istruzioni per gli allenamenti da adottare fin dall’attività di base. Esercizi obbligati, con tecniche di movimento, campi pieni di cinesini per giochi imposti, togliendo ai bambini la voglia di correre, di essere liberi e creativi, di mostrare e sviluppare le proprie capacità. Con la conseguenza che poi arrivano all’età agonistica con la testa piena di “schemi”, che sanno correre ma non sanno stoppare una palla, colpire di testa o fare un passaggio filtrante. E con la gran parte delle società sportive giovanili che preferiscono il ragazzo alto e strutturato a quello che sia voglioso ed appassionato, come se la statura fosse direttamente proporzionale alla bravura. Nella realtà vediamo che non è così.
Le soluzioni? Non sono percorribili. Si tratterebbe di rimuovere a monte una serie di teorici e burocrati che gestiscono il mondo del calcio, inamovibili e legati ai propri ruoli, spesso con competenze non all’altezza della situazione e sopravvalutati.
Ma questa è la realtà, l’Italia calcistica per due mondiali è stata esclusa, nell’Europeo è stata ridicolizzata, oggi si cercano teorie e scusanti varie per giustificare la pochezza del nostro calcio senza avere il coraggio di affrontare un reale cambiamento, crescere ed ammodernarsi come stanno facendo altri paesi in giro per il nostro continente.
Luca Zoratti
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