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Edizione provinciale di Udine


VI DICO LA MIA - Meglio i clown. Il circo mi diverte, ma questo no!

Un’analisi spietata del profondo disagio patito nel vedere le troppe storture abbattutesi su quello che fu il calcio nel nostro Bel Paese. Che sia causa dei cambiamenti climatici?

Tempo di lettura: 8 minuti circa

Eppure ci avevamo creduto! Poi quando il patatrac si è concretizzato tutti a prodigarsi in spiegazioni e a criticare la qualsiasi; ogni piega, ogni sfumatura ogni pettegolezzo diventa oggi fonte di verità assoluta! Mai così in basso! Caro lettore, so che avrai già capito a cosa mi riferisco se non altro perché avrai letto il titolo ma scommetterei che anche senza titolo ci saresti arrivato lo stesso.

Dal 29 giugno, giorno della debacle subita contro i cugini svizzeri, l’Italia calcistica (un tempo avrei scritto “sportivo calcistica”!) sembra essersi resa conto della pochezza del calcio nostrano. Eh sì, cari miei, il nocciolo della questione è proprio questo: non più scuola italiana, non più italici campioni in campo, siamo diventati proprio tecnicamente modesti anche se sempre molto presuntuosi (passatemi l’ironia nella contraddizione dei termini condita da una profonda amarezza!). Al pari della scuola magiara o quella austriaca in auge quando io non ero ancora nato, ora è arrivato il nostro turno. Talvolta restiamo a galla perché Coverciano rappresenta, forse, l’università del calcio più famosa e credibile al mondo. Riesce a sfornare tecnici preparatissimi, i quali grazie all’apporto di una grande quantità di “materiale” straniero riescono ad impartire lezioni di tattica a tutti; mi verrebbe però da obiettare che sarebbe meglio parlare di contro-tattica. Infatti, la sensazione è che ci si sia specializzati a studiare più gli avversari che noi stessi, altrimenti perché tanto stupore davanti alla realtà delle cose?
Tra le tante spiegazioni subite in questi giorni un paio mi sembrano centrate ma, a mio avviso, poco funzionali ad un progetto di rinascita a cui credo quasi zero.
La prima è rappresentata da un dato oggettivo e incontrovertibile: in Italia gioca una quota di stranieri che non ha uguali in Europa, ovvero circa il 63% dei professionisti totali. La Spagna, Paese che oggi va per la maggiore, ne esprime poco più del 33%; praticamente le percentuali indigeni - foresti sono invertite!
La seconda è che i nostri giovani non li facciamo giocare. Ma questo dato, di per sé vero, è figlio della presunzione cui accennavo prima. Non giocano perché non sono all’altezza. Non si può negare che le nostre nazionali Under 17 e 19 siano al top nel mondo, ma questo accade perché i nostri tecnici sono stratosferici nell’insegnare a vincere, ma molto meno a giocare. Guardate come trattano la palla i giovani talenti nostrani rispetto a quelli spagnoli, o francesi, o olandesi, o portoghesi, o brasiliani, o argentini ed ora anche ai neo arrivati dei paesi asiatici. Discorso a parte per i ragazzi di colore che, alle carenze tecniche e tattiche in via di perfezionamento e miglioramento oppongono, per contro, una indiscussa maggior prestanza fisica capace di mitigarne il gap.

Sentivo il presidente dell’Inter Marotta affermare in un’intervista che i giocatori più capaci provengono soprattutto da quelle sacche di popolazione meno abbienti, dagli emarginati sociali, soprattutto economici, ed è anche da lì che, a suo dire, bisognerebbe ripartire, ovvero al loro recupero. Questa già mi sembra una considerazione un po’ più profonda e funzionale. Non vi dico poi quante ne ho sentite tra amici pallonari e non, o carpite da discorsi fatti al bar dai vicini di tavolo e allora anch’io oggi “Vi dico la mia”.

Io mi sono concentrato a fare un’analisi dal basso, dal molto basso. In altri articoli, a più riprese, ho cercato di esprimere il mio raccapriccio le volte in cui vado per campi sportivi a vedere i più piccoli giocare e purtroppo mi capita di constatare che troppi, troppi, troppi vanno costantemente sopra le righe!
Allenatori che urlano, genitori che insegnano ad emulare il gioco di questa o quella squadra che si chiami Inter, Juve, Real Madrid o un’altra poco importa. Il problema è che non riescono a rendersi conto che in quel momento stanno guardando una gara di ragazzini di 8-10 anni, in un campo ridotto, con un pallone n. 4 (per i non addetti specifico che i grandi giocano con il n. 5 che è ovviamente più grande), con l’auto-arbitraggio, insomma un calcio lontanissimo anni-luce da quello spettacolo offerto da attori professionisti milionari. Insomma, altra cosa è paragonare un film d’autore con un cartone animato seppur piacevolissimo.
Poi fatemi ricordare il recente fatto di cronaca nera sportiva (?) accaduto nella nostra regione in cui i protagonisti di una finale di calcio definito amatoriale (!) se le sono date di santa ragione e, credetemi, non mi interessa neppure sapere il motivo scatenante. Un mio carissimo amico, compagno un tempo di squadra, una squadra che così come non tante altre ma tutte le altre avevano dei valori comuni che includevano, anche e non solo, il rispetto dell’avversario ed udite, udite, il saper perdere. Schifato al pari mio dall’episodio, mi ha scritto un sms carico di amarezza e delusione chiosando “scusa lo sfogo ma chi tace è complice”.

Già, il saper perdere o, forse peggio, il dover solo vincere! Io ho appreso che soprattutto da giovani bisogna imparare e lo si fa anche per errori. Pare che nel nostro sport questo passi in secondo piano. Vedere squadre di Pulcini dove la cosa principale che si insegna è la riconquista della palla e non l’addomesticamento della stessa mi crea disagio! Ma andiamo! È ovvio che finché sono giovani potrebbero certamente vincere di più semplicemente insegnando loro le furbate, la scaltrezza, il pressing offensivo, ma quando diventeranno grandi e troveranno adulti tutti ugualmente scafati se non peggio, ma che sanno trattare il pallone e sanno giocare, le prenderemo da chiunque!
Diciamolo chiaramente, in quei campetti di periferia che giochino piccoli o grandi possiamo facilmente ammirare adulti che non sembrano proprio mai cresciuti e, men che meno, pronti ad insegnare qualcosa alle nuove generazioni! Quei rissosi e frustrati che si sono spaccati le ossa, con molta probabilità, sono gli stessi genitori, non tutti per carità, che troviamo a vedere le gare dei Pulcini di cui sopra.
Probabilmente lo sport italico nazional popolare che tanto ci appassionava sta andando alla deriva, credo, ahimè, troppo condizionato da una società se, non proprio alla frutta, per lo meno in declino lo è, che poi, a mio modesto parere, è la causa prima che porta a prestazioni come quelle viste con la Svizzera.
Ovvio poi che i genitori cum grano salis (con il sale… in zucca) facilmente saranno più propensi a iniziare i propri figlioletti ad altri sport. Guardate nel tennis: Sinner rappresenta l’emblema della simpatia, siamo persino disposti ad accettare che abbia la residenza per motivi fiscali a Montecarlo, ma perché è uno sportivo vero! Perde e dice che deve imparare dalla sconfitta, dall’avversario! Ma quando mai nel calcio? L’arbitro? Di parte, venduto o, nella migliore delle ipotesi, incapace. L’avversario? Nemico! Imparare cosa? Lo “sportivissimo” calciatore sa già tutto e se poi gli riempi le tasche di soldi capace che gli passi la voglia di giocare o che diventi fin troppo presuntuoso o, in certi elementi, anche arrogante. Ora, ascoltando dai giornalisti del carrozzone mediatico calcistico a cui consiglierei una doppia, se non addirittura tripla laurea, oltreché in lettere ed in psicologia, anche in sociologia onde evitare di dire sciocchezze e strafalcioni a iosa, ho saputo che i nostri ragazzini della Nazionale erano probabilmente scocciati e a disagio con alcune regole perlomeno bizzarre imposte dallo staff: divieto di play station e cuffiette alle orecchie! A parer mio chi le ha messe e chi ci ha filato anche sopra, ovvero tutti, meriterebbero un bel vaffa…
Salverei il migliore di tutti che ha avuto il coraggio di chiedere scusa: il nostro portierone Donnarumma.

Già che ci siamo potevano anche vietare la tappezzeria corporale selvaggia fatta di tatuaggi per tutti i “non gusti”, le capigliature poco consone ad uno stile serio e sobrio a rappresentare una Nazione e magari forse non sorvolare così rapidamente su quel calciatore ripescato a fine campionato dopo una sola partita da titolare nella Juve dopo una sostanziosa squalifica e che non vorrei mai mio figlio prendesse ad esempio. Sì, bravo, ti perdono ma un po’ più anticamera te la faccio fare; voglio essere sicuro che tu abbia imparato la lezione; mi è sembrato un pochino troppo presto quel sottointeso “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordiamoci il passato”.
Tante parole e poi… un po’ più di coerenza, per piacere! Se poi camminano svogliati per il campo dopo aver sentito e cantato l’Inno Nazionale senza capire quali siano i valori che dovrebbero incarnare con quella maglia azzurra che indossano e che rappresentano tutti noi italiani beh, ragazzi, che dispiacere!
Che bel primato però: la più brutta e indisponente Nazionale presente a questo europeo! Altro che Corea! Lì avevamo sbagliato solo l’approccio ma i giocatori veri comunque li avevamo. Oggi no!

Loris Garofalo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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  Scritto da La Redazione il 03/07/2024
 

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