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Edizione provinciale di Udine


IL PERSONAGGIO - Gli ultimi "ruggiti" di Vidotti

A fine stagione, alla soglia dei 50 anni, il popolare Luca, un’icona del calcio amatoriale, appenderà le scarpette al chiodo. “Una vita al Deportivo, ma che grande esperienza all’Ibligine, la parentesi più bella: dentro e fuori dal campo. E quando militavo in quattro squadre diverse…Massimo Miano e il “Papi” Adotti giocatori inarrivabili. Gli arbitri? No comment. E grazie a Franca, che mi sopporta dal 1994…”


La vita scappa veloce. Anche per lui: che però ne ha afferrato, assaporandoli in toto, momenti indimenticabili. Alla vigilia dei 50 anni (grande festa il 19 agosto prossimo) supportati da invidiabile grinta Luca Vidotti, originario del popoloso quartiere udinese di San Gottardo e protagonista di ruggenti stagioni del calcio amatoriale, ha deciso di scrivere la parola fine.

La sua carriera è un romanzo: che comincia a sei anni (vi rimarrà fino a 15) al settore giovanile dell’allora A.C. Ziracco (premiata scuola Bepon). Segue il trasferimento alla Valnatisone, con il compianto, mitico Nereo Vida in panchina. L’ esordio con i grandi (Prima Categoria) è datato 1985; segue la parentesi all’Aurora Remanzacco, dove già allora cercava di trapiantare i suoi metodi “rivoluzionari” (la rifinitura del sabato mattina, ad esempio, ndr) un certo Paolo D’Odorico. Poi una “valanga” di club amatoriali.

“A San Pietro c’erano due o tre titolari ammalati: cosi mi convocarono, facendomi pure esordire - ricorda Lucanel frattempo avevo cambiato ruolo: partito come libero, ero diventato centrocampista”.

Una carriera “defunta”, almeno a livello dilettanti, ancor prima essere nata. Come mai?
“Non ho problemi ad ammetterlo: preferivo andare in giro per le discoteche. Volevo solo divertirmi…”.

Qualche anno dopo, però, sei rientrato. Quasi per scommessa.
“Nel negozio dove lavoravo è entrato un amico, chiedendomi se fossi interessato a riprendere. Dissi di si, ma ad una condizione: quella di poter fare l’ attaccante. La prima squadra fu la “Pizzeria da Raffaele”, per un anno soltanto. Poi sono passato al Deportivo Branco”.

Dove hai trascorso una bella fetta di vita.
“Siamo saliti dalla Terza sino all’Eccellenza del Collinare".

Quanto ai gol, sono praticamente andato sempre in doppia cifra.Nel 2001, poi, il trasferimento in Carnia.
“In un bar di Invillino, dopo una partita con il Deportivo, il mitico Max Brovedani mi chiese se fossi disponibile al trasferimento. Saputo che si giocava di… sabato, ho accettato”.

Ibligine, una parentesi super.
“Abbiamo vinto un sacco di campionati e anche il titolo italiano, a Cesenatico. Il primo anno, in fascia, giocava un certo Raffaele Maisano. Il libero, invece, era Guido D’Orlando…”.

Qualche frammento di campo o extra da raccontare?
“Mi sono successe tante cose, troppe. Sarebbe difficile  scegliere. La sensazione più bella è che sono stato subito accolto come uno di loro. Conosciuto uno, conosciuti tutti”.

Un periodo intenso, pare di capire.
“Anche perchè militavo in quattro squadre diverse! L’Ibligine (periodo estivo), il Deportivo (collinare invernale), il Bar Gardel Over 35 e la Braidematte, formazione di calcetto nata per sostenere un ragazzo disabile, una formidabile persona: Stefano Tullio, detto “Il Pazzo”. La pubalgia era il minimo che potesse capitare….”.

Al momento attuale, quante casacche indossi ?
“Sono solo tre...Quella degli Over 40 del Depover, ovviamente dell’Ibligine e degli Amatori calcio Carlino nel Friuli Collinare”.

Il giocatore più forte ammirato o affrontato?
“Massimo Miano, un estro ed un talento certamente superiori a quelli del fratello Paolo. Qualità accompagnate da un pizzico di sana follia: ancor oggi, infatti, si narra del famoso  “gesto” dei due gol segnati, la consegna della maglia al proprio allenatore e il successivo abbandono del terreno di gioco…”.

Il giocatore per eccellenza?
“Valentino Adotti, il classico dieci: la testa per giocare a calcio”.

Un attaccante al quale pensi di assomigliare?
“Filippo Inzaghi. Mi muovo sempre sul filo del fuorigioco”.

L’allenatore migliore?
“Due grandi persone, prima di tutto, ora scomparse. Bernard di Cividale, nella vita faceva il panettiere: mi ha insegnato i rudimenti. E, naturalmente, Nereo Vida”.

Il gol al quale sei più affezionato.
“Era la finale di Coppa Over 35, sul sintetico di Tolmezzo. Mancavano circa cinque minuti al termine: su lancio di Castellano, dopo un solo rimbalzo, ho calciato di prima intenzione, sorprendendo il portiere. Abbiamo vinto 1 – 0…”.

“La partita”?
“Facile. Sempre con l’Ibligine, il 9 - 1 inflitto al Real Tolmezzo il 27 agosto 2011. La gara perfetta, segnai un poker”.

Cosa ti hanno insegnato e consegnato tutti questi anni di calcio?
“Ho conosciuto una vagonata di gente e il valore del gruppo, soprattutto nell’Ibligine. Stupendi pure gli anni con il Gardel”.

Il calcio in Carnia?
“E’ bellissimo, mi diverto troppo. Ci sono dei campi incredibili: quello è stato uno dei fattori alla base della mia decisione di rimanere cosi a lungo lassù. Mi manca, però, Imponzo: basterebbero 10 minuti…”.

Il rapporto con gli arbitri?
“No comment…Posso solo dire che con il tempo mi sono calmato: inizialmente, ero spesso espulso”.

Perchè non hai mai allenato?
“Non mi è mai interessato, in quel ruolo proprio non mi ci vedo”.

Perché non sei più tornato in Categoria?
“Troppi impegni, lavorativi e personali”.

Cosa non rifaresti?
“Niente. Ripeterei tutto”.

Chi ti ha sostenuto in questi anni ?
“La mia dolce metà, Franca, che conosco e mi sopporta dal 1994".

Per quanto tempo ancora, invece, dovranno sopportarti compagni ed avversari ?
“Questo è l’ultimo anno. Arrivato al mezzo secolo, ho capito che è ora di smettere”.

Roberto Zanitti

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  Scritto da La Redazione il 08/05/2018
 

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