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Edizione provinciale di Gorizia


IL PERSONAGGIO - Alla scoperta del "nuovo" Bandini

Appese le scarpette al chiodo dopo un'onorata carriera come calciatore, Sergio ora allena la prima squadra dell'Isonzo San Pier e si confronta "mostri sacri" come Veneziano, Scarel, Cernuta... Lo abbiamo intervistato


Il nostro peregrinare per i campi di calcio della regione, per conoscere (e far conoscere) le varie realtà calcistiche e personaggi che le vitalizzano, fa sì che ci troviamo sulla riva sinistra del fiume Isonzo, caro alla Patria e noto alla storia. Siamo, per l'esattezza, a San Pier d'Isonzo in provincia di Gorizia - Provincia che, per la cronaca, non esiste più essendo stata surrogata, a livello amministrativo e di ente locale, dall'Unione Territoriale Intercomunale/UTI - per incontrare il giovane allenatore, Sergio Bandini, classe 1979, che guida la prima squadra dell'Isonzo  del presidente Massimiliano Sità.
La bella area sportiva, che ci ospita e sede dell'odierno incontro, comprende anche il campo di calcio comunale e sorge, appunto, in area golenale, dove trovano ampio respirto le attività delle bocce, del tennis e quella di... un fornitissimo chiosco.

Mister Bandini, per conoscerla meglio ci racconti la sua vita sportiva.
"Eccola servita. La mia vita sportiva da calciatore si svolge per quasi un ventennio nelle fila del Monfalcone calcio (tra settore giovanile e prima squadra), dove ho raccolto le maggiori soddisfazioni a livello di risultati, arrivando a giocare anche diverse partite in serie D. Sempre da calciatore ho avuto anche l'onore di indossare le casacche del Gonars, del Cjarlins/Muzane, del Ponziana e dell'Isonzo San Pier, e questa è storia recente, dove ho concluso la carriera e nel contempo iniziato quella di allenatore. Per quanto riguarda i miei successi sportivi devo dire che sono frutto soprattutto della competenza di ottimi allenatori e di compagni, in ogni squadra in cui ho militato, veramente superlativi sia a livello umano che a livello sportivo. Negli ultimi anni da giocatore a San Pier ho iniziato, quasi per gioco, l'avventura di "allenatore" con la squadra Esordienti della stessa società. Un gruppo che ho portato avanti fino agli Allievi e che umanamente mi ha formato in maniera incredibile: sono cresciuto con loro. A trasmettermi la passione per questo sport è stato mio papà (mancato purtroppo di recente) e forse questa passione ha ricevuto anche una spinta dal "peso" del cognome portato da un portiere di livello nazionale, Giampiero Bandini; da un punto di vista genealogico non ho mai approfondito se ci fosse una reale parentela o una semplice omonimia".

Quindi, quest’anno ha fatto un "salto di qualità" passando da allenatore degli Allievi a quello della Prima squadra?
"Non so se è corretto definirlo un "salto di qualità", in quanto metto la stessa attenzione e dedizione a disposizione dei ragazzi che alleno, o meglio dei ragazzi che hanno la pazienza di ascoltare e seguire quello che cerco di proporre".

 Per quale motivo ha sposato questo ambizioso progetto? E che obiettivi ha per la stagione in corso?
"Dopo aver smesso di giocare, oltre a seguire i ragazzi del settore giovanile, ho collaborato con il mister della prima squadra dell'epoca, Gianni Tomizza, cercando di costruire un gruppo di ragazzi coeso ed affiatato oltre che tecnicamente più che valido. Quando la società mi ha chiesto di proseguire il lavoro di Gianni Tomizza, ho accettato con grande entusiasmo di misurarmi con i "grandi", proprio per dare un corso a quanto è stato fatto negli anni precedenti, anche se è sempre il campo a parlare, a dare un giudizio inappellabile riguardo il lavoro svolto. Per quanto concerne la stagione in corso, gli obiettivi sono quelli di migliorarsi rispetto all'anno precedente, ma come si può notare il campionato è molto equilibrato e difficile e ci sono squadre molto attrezzate e smaliziate, con allenatori che definire preparati è un eufemismo in quanto per la categoria sono "mostri sacri". Pensiamo ai vari Veneziano, Scarel, Cernuta per citarne alcuni, che sono persone e soprattutto mister che non hanno bisogno di nessun tipo di presentazione".

Quali sono le caratteristiche fondamentali del suo gruppo?
"Una delle caratteristiche fondamentali è la coesione. Sono persone prima che giocatori. Sono anche amici fuori dal campo, il che in un ambiente come San Piero non guasta, tutt'altro. Sono ragazzi completamente disponibili, in tutto e per tutto. Sono, anzi siamo proprio un bel gruppo".

Parlando prettamente di tattica,  qual è il modulo di gioco che mette in campo?
"Avendo un gruppo giovane, mi piace molto far giocare i miei ragazzi in modo semplice e in velocità, in modo che siano sempre in movimento in ogni zona del campo. Diciamo che il modulo di partenza di solito prevede il rombo a centrocampo, così riescono ad assolvere più compiti muovendosi".

Al momento, ha una grande soddisfazione da allenatore di cui narrarci? E/o qualche aneddoto o simpatico siparietto?
"Non avendo una grossa "storia sportiva" come allenatore, posso definire soddisfazione il momento in cui percepisci che la tua squadra sta lottando unita per il raggiungimento di un risultato. La capacità poi che hanno i ragazzi di sdrammatizzare un errore proprio o di un compagno, senza essere maleducati e senza perdere la consapevolezza di ciò che stanno facendo con dedizione, per me rappresenta quel "siparietto" che rende un gruppo sano".

Una domanda "a secco": in ambito calcistico il suo più grande difetto e il miglior pregio?
"Sono permaloso, purtroppo, non solo in ambito calcistico. Il miglior pregio è quello di mettermi sempre in discussione e di cercare di prendere il buono da ogni persona che incontro sui campi di calcio".

Delle strutture sportive, che vi accolgono, ha qualcosa da segnalare?
"Le strutture sportive di cui dispone la società sono adeguate e consentono ampiamente lo svolgimento delle attività sia giovanili che seniores. Se il campetto di sfogo e quindi di allenamento fosse in erba sintetica si potrebbe veramente sfruttare al massimo l'impianto".

Due domande di rito che facciamo a tutti: la prima è, per che squadra tifa? La seconda, cosa ne pensa della non qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia.
"La Juventus è stato il mio primo amore calcistico e tale resta: ho anche moglie e figli juventini. La mancata qualificazione dell'Italia secondo me non è dovuta ad una singola partita o a un sistema di gioco utilizzato in varie gare delle qualificazioni; credo abbia radici più profonde: forse Ventura non era l'uomo adatto a gestire un gruppo di venticinque giocatori con una personalità forte. Ma è solo il mio pensiero".

Da uomo del calcio avrebbe dei suggerimenti per quello italiano?
"Sembra banale, e sembra sempre una frase fatta, ma puntare sui settori giovanili, cercando di migliorare ciò che il calcio nostrano ha a disposizione a livello di ragazzi, appunto, può essere un ottimo punto di partenza".

Pugaccio 

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  Scritto da La Redazione il 20/12/2017
 

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