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Edizione provinciale di Gorizia


IL PERSONAGGIO - Croci e il modello Ronchi di chi non si ferma mai

Intervista a tutto campo con il presidente del club arrivato fino in Eccellenza. Giocatore, ds, ora solida e lungimirante guida societaria, il massimo dirigente amaranto-verde apre il libro dei ricordi personali e si cimenta con l'attualità calcistica

Sempre in lotta con l’orologio e spostandoci vorticosamente “qua e là” e “su e giù” per la regione in quest’occasione “voliamo”, qui si può ben dire, a Ronchi (città, appunto, sede dell’aeroporto regionale) dove un gentilissimo Stefano Croci, presidente tuttofare dell’Asd Ronchi Calcio, ci attende per una cortese intervista. E’ da sapere che la società ronchigina è stata rifondata nel 1945, dopo il secondo conflitto mondiale, con Alferio Cubi primo suo storico presidente. Oggi gli “amaranto”, che è il colore sociale della squadra, militano, da neopromossi e vincitori della Promozione, nel campionato regionale d’Eccellenza. Al momento sono a metà classifica, dopo aver recentemente affrontato le prime due, Lumignacco e Chions, con cui hanno perso “di un soffio”. Si sono scollati, quindi, dalle posizioni di vertice; ciò non ha di certo tolto il sonno al presidente: il campionato è ancora lungo ed è sicuro dei propri mezzi.  Taccuino alla mano, ben volentieri, appuntiamo la sua storia, quella di una nuova avventura, di altri “spaccati” della società e del calcio dilettantistico. 
Presidente Croci, vorrei iniziare da lei come calciatore. Per le cronache, prima di essere il vertice dirigenziale del Ronchi è stato per anni una “bandiera” della squadra, allo stesso modo di chi l’ha preceduta, ossia Tazio Furlan. Ci può illustrare il suo vissuto calcistico e qualche notizia curiosa o aneddoto di questo suo recente passato?
"La circostanza di nascere a pochi metri dallo stadio “Lucca”, come facilmente immaginabile e logico, ha fatto sì che da bambino e negli anni 70 finissi tesserato per questa società. Devo dire che per me, al tempo, il calcio era noioso in quanto tutte le domeniche pomeriggio dovevo sorbirmi le radiocronache che mio padre, appassionato sportivo, ascoltava. Fu proprio lui che, a mia insaputa, chiese ad un dirigente del Ronchi di passare a prendermi per portarmi in campo. Da quella volta sono ancora qua! La carriera l’ho fatta tutta: dalle giovanili (eravamo un ottimo gruppo, vincemmo il campionato pulcini, esordienti e allievi) alla prima squadra, a sedici anni appena compiuti: era il marzo 1980. A settembre, nel mio primo derby con il Pieris Calcio, segnai il primo gol nei dilettanti e, per la cronaca, vincemmo 1-0. Dopo sei stagioni, con più di 100 presenze e una ventina di reti, volendo contare solo il campionato, venni ceduto in prestito e da lì cominciai a girovagare. Ero naturalmente un centrocampista, però essendo rapido e con una discreta confidenza con il gol da giovane venivo utilizzato come attaccante. Nel tempo tornai a metà campo, ma per emergenze nella rosa mi capito spesso e volentieri di fare il libero e il difensore centrale con la squadra schierata a zona. A parte il portiere credo di aver giocato ovunque. La mia militanza nei dilettanti conta 25 anni consecutivi, fino ai 41 anni compiuti, soprattutto in Prima categoria (quando la Promozione era l'Eccellenza di oggi). Ho centrato due promozioni consecutive, con il Turriaco e il Mladost Doberdò portandolo, per la prima volta nella sua storia -  qualche anno dopo anche il Fogliano -  in Prima, e sfiorando nella successiva stagione la promozione ai play.off. La mia carriera termina negli Amatori Figc Staranzano per sette anni consecutivi. Lì ritrovai tanti miei ex compagni di squadra. Ho smesso causa i troppi impegni e il ruolo di dirigente, prima e presidente poi: mi imponeva una scelta radicale. Avevo 48 anni!".
Dopo questa gloriosa attività di calciatore è divenuto presidente (riconfermato nel 2017) della stessa società in cui ha militato. Ci narri un po’ come è maturata questa scelta?
"Non è stata una scelta, ma un invito. Undici anni fa un gruppo di amici, Tazio Furlan, Cuzzolin, Roberto Gon Novella Marega, mi chiese di entrare in società per aiutarli a risollevarla. Con un presidente dimissionario, una doppia retrocessione dalla Promozione alla Seconda, c'era necessità di tirare una riga e ripartire con vigore. Accettai e insieme a Roberto Gon cominciai da ds della Prima squadra e degli Juniores. Fummo promossi in Prima categoria giocandoci i play-off di fine stagione. Lì abbiamo avviato questo percorso che all’attualità ci vede protagonisti in Eccellenza. La strada è stata lunga e piena di ostacoli. Ci siamo tolti delle grandi soddisfazioni e in paese i sostenitori sono orgogliosi del nostro operato. Il resto lo conoscete: è storia recente".
In questo contesto una domanda secca: il suo più grande difetto e il miglior pregio?
"Il mio difetto è esser troppo “tenero”, cercando, se posso, sempre una mediazione ragionata. Lo so che non sempre va bene però è la mia caratterista… e difetto! Un pregio? Non mi fermo mai. Quando devo prendermi delle responsabilità le affronto e vado fino in fondo, a prescindere dal giudizio degli altri: sempre avanti senza girarsi indietro!.
Molti non conoscono il mondo del calcio; per il ruolo da lei ricoperto l’occasione odierna è utile per aprire una finestra anche sulle modalità di gestione delle società dilettantistiche. Quali implicazioni in termini di responsabilità, preoccupazioni e, pure, soddisfazioni comporta questo suo ruolo?
"Questo ruolo implica delle rilevanti preoccupazioni e un grande impegno, sia a livello di rapporti sociali (relazioni con genitori, amministrazioni locali, federazione, tecnici etc.) e fiscali. Quello del presidente è un ruolo con importanti responsabilità dirette: egli è anche amministratore delegato della società. L’incarico richiede tempo (molto) e dedizione nel sistemare ed organizzare la complessa attività sportiva/societaria. Anche un piccolo errore può rovinare il lavoro di anni. Per rovinare intendo fallire, nel vero senso della parola, bruciando una associazione che, come nel nostro caso, ha quasi ottanta anni di orgogliosa storia. Al giorno d’oggi gestire un’associazione sportiva dilettantistica è come gestire un’azienda e nemmeno tanto piccola. Questo macigno però viene levigato dalle soddisfazioni. L’entusiasmo che trasmette il guardare, a bordo campo, le nostre piccole leve in attività è quel sentimento che ripaga, sicuramente, tutti sacrifici fatti. D’altro lato è una grande soddisfazione raggiungere ogni obiettivo prefissato o inseguito per anni, che si chiami pure “salvezza” o una vittoria del campionato. Queste sono reali appagamenti che ti arricchiscono come persona e non si possono dimenticare. Mai!".
Parliamo della vostra avventura in Eccellenza, degli obiettivi, delle speranze, dei programmi.
"Abbiamo raggiunto questo traguardo in maniera del tutto naturale nel senso che non è stato forzato in alcun modo: è stato il risultato di anni di certosino lavoro. Passo dopo passo, senza demordere anche nei momenti di difficoltà, siamo andati avanti. sempre uniti e coesi in società. Al momento dei risultati auspicati, con calma e umiltà, abbiamo cercato di alleggerire la pressione che inevitabilmente si era venuta a creare nell'ambiente. Per quanto riguarda gli obiettivi stagionali: dobbiamo mantenere questa categoria  attraverso il bel gioco per confermarci anche nelle prossime stagioni come una realtà importante nel panorama calcistico regionale. Naturalmente è imprescindibile potenziare, se possibile, l’intero il settore giovanile. Il mio sogno nel cassetto? Giocare sempre un calcio bello e propositivo. Se in questo ce la fai, i risultati vengono da sé. E sai che soddisfazioni"! 
Se dovesse riassumere le caratteristiche fondamentali della sua prima squadra, quali sarebbero? E dell’allenatore Franti?
"E’ un grande gruppo dove i ragazzi si vogliono bene, rispettano e remano tutti nella stessa direzione. Per arrivare a questo punto ci sono voluti undici anni di continuo e incessante lavoro. Trattandosi poi di un lavoro legato ai risultati sportivi, che spesso non sono, poi, quelli sperati, è ancora più difficile: basta un rigore, un palo, una papera del portiere o un gol sbagliato e “salta il banco”. Siamo stati bravi e fortunati a crescere bene ragazzi del luogo, li abbiamo responsabilizzati, dato fiducia e, col rischio del caso, schierati in Prima squadra quando erano ancora giovanissimi Sì, certo, alcune lacune non son mancate ma con operazioni di mercato oculate abbiamo ricercato di colmarle con giocatori, possibilmente, delle nostre zone. Essere di questa zona rafforza anche il senso di appartenenza e l'amore per la maglia che indossi. La storia recente, di cui accennavo anche sopra,  è questa. Qualche anno fa dalla Prima, ai play off, siamo “approdati” in Promozione, sotto la guida di Veneziano (ndr. anche lui ex giocatore ronchigino); lì ci siamo stabilizzati, non senza qualche fatica. L’attuale mister, Fabio Franti, subentrato a Leghissa, fin da subito ha sposato il nostro programma con estremo entusiasmo. Ci ha prima salvato e partendo dall'ultimo posto. Successivamente, con la sue conoscenze e capacità tecnico/tattiche, assieme a Luca Buonocunto (che nel frattempo aveva “appeso le scarpe al chiodo”), ha apportato alcune rilevanti modifiche ad telaio collaudato della compagine. Lavorando sulla qualità del gioco e infondendo la mentalità giusta abbiamo vinto, con merito, il campionato di Promozione. Ora ci ritroviamo in Eccellenza dove stiamo giocando un calcio di qualità “a viso scoperto” e con tutti: ciò a detta anche degli avversari. E’ da rilevare che mister Franti non solo allena la squadra ma l’ha fatto anche con la società!".
L’Asd Ronchi è tradizionalmente una società che ha sempre avuto un fiorente vivaio. Guardando all’attualità fa piacere constatare che questa caratteristica sia stata mantenuta (ndr. con tutte le categorie presenti  - e squadre nell'attività di base - anche a livello regionale). E’ uno dei suoi punti di forza o un’eredità del passato che semplicemente volete mantenere?
"Questa peculiarità ci ha sempre contraddistinto. E’ stato, è e dovrà essere un nostro punto di forza baricentrico. A ben vedere garantirsi un vivaio con tutti gli  attributi diventa sempre più difficile: i giovani sono attratti (spinti spesso dai genitori stessi) a scegliere altre realtà di blasone perché vogliono vincere subito, credendo che accasarsi presso altre società calcistiche, anche sobbarcandosi chilometri e sacrifici, sia la chiave di volta. La delusione è spesso cocente allorché queste scelte non vengono ripagate e molte volte, con la maturazione viene richiesto di “rientrare all’ovile”. E' assodato che, uno veramente bravo, viene notato, al giorno d'oggi, su qualunque campo egli giochi. Mi viene difficile comprendere come un ragazzino adesso, al contrario dei miei tempi, non senta forte il senso di appartenenza, l'amore e il rispetto per la maglia che rappresenta, per il suo paese e i tuoi amici. Questi sono dei valori che andrebbero assolutamente recuperati per il bene dello sport in generale".   
Collaborate con qualche società sportiva delle serie maggiori: ad es. per scuola calcio o altro? 
"Eravamo fino a due anni fa affiliati al ChievoVerona. Poi abbiamo scelto di interrompere il rapporto perché era una spesa  sinceramente sprecata: non c’era nulla in cambio. Ho come l'impressione che le società professionistiche cercano soldi e non legami tecnici o, perlomeno, di risparmiare denaro facendo fare il lavoro di base a terzi".
Il mondo del calcio dilettantistico, dopo i fasti passati, pare vivere momenti di sofferenza anche causa di una crisi economica che non veicola più gli sponsor di un tempo. L’Asd Ronchi Calcio come vive questa, apparente, congiuntura sfavorevole?
"Unicamente col proprio lavoro! I nostri sponsor sono naturalmente l'amministrazione comunale, che ci è sempre stata vicina e ringrazio, il frutti del lavoro del chiosco di campo e una serie di manifestazioni da noi organizzate, dove tutti i dirigenti, esclusivamente col volontariato, fanno entrare nelle casse societarie quanto serve per sopravvivere. A questo s’aggiunga il contributo di piccole realtà locali (per esempio, Bcc di Staranzano e Villesse), che non ci fanno mancare, mai, il dovuto supporto".
Guardando all’impianto sportivo principale, il comunale “Alfredo Lucca” forse avrebbe bisogno di una “rinverdita” in termini di spalti, illuminazione e quant’altro. Ha idea di come intende muoversi l’amministrazione comunale, che è la proprietaria dell’impianto,  e quali richieste, come società, avete in tal senso?
"I lavori di sistemazione del “Lucca” dovrebbero cominciare a giorni. Per questo "ripristino" c'è una notevole somma nelle casse comunali. Somma che era bloccata da sette/otto anni in virtù della cosiddetta “legge sul patto di stabilità”. La situazione, dunque, si è disincagliata e l'amministrazione comunale è pronta a far partire i lavori: la prima parte dovrebbe essere completata entro fine primavera. Non è, però, contemplato l'impianto di illuminazione". 
Una curiosità. Oltre al “Lucca” utilizzate il campo di Vermegliano (ndr. Frazione di Ronchi dei Legionari)  e quello di Gradisca – San Valeriano. Come mai fino a Gradisca d’Isonzo?
"Per il campo di Vermegliano abbiamo la stessa convenzione col Comune, come per il Lucca, che ci permette la gestione in autonomia. Il campo di San Valeriano l'abbiamo usato per due stagioni, in accordo con la società Fortezza di Gradisca (militante in Seconda categoria), per facilitare logisticamente un gruppo di giovani tesserati che provenivano da quelle parti. Da questa stagione non viene più utilizzato perché quel gruppo, per delle scelte non dipendenti da noi, si è dissolto. E’ un gran peccato: era un ottimo gruppo, ben guidato e da un mister preparatissimo, che, per fortuna, sta continuando ad allenare nella nostra società".
Due domande di rito. La prima è: per quale squadra fa il tifo? La seconda è: cosa ne pensa della non qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia? 
"Purtroppo per il Milan. Sulla non qualificazione: ovviamente, in senso sportivo, è una tragedia e un fallimento della federazione. Spero che non ci siano ricadute sul calcio dilettantistico. Con ciò intendo, i mancati introiti che l’avvenimento Mondiale   assicurava e la possibile ricaduta sull’intero comparto calcistico nazionale".
Per finire: avrebbe una sua “ricetta” per il calcio italiano?
"Ricetta? No. Ho qualche idea! Servirebbe potenziare e migliorare il lavoro sui settori giovanili, affidandoli a tecnici più bravi e preparati. Da attento e privilegiato osservatore vedo tanti capaci ragazzini nei campi di periferia che frequento. Pochissimi, alla fine, “fanno strada”. Secondo me il problema sono sempre i costi: un talentuoso bambino italiano costa troppo per “farlo crescere” in una società professionistica. Allora si corre al risparmio acquistando giovani stranieri dai paesi "poveri". In questo senso, nel mondo giovanile, vanno rielaborate tutte logiche di settore tutelando i giovani dal business,  che, per ragioni d’età, non gestiscono direttamente. Per il citato obiettivo bisogna armarsi di pazienza e tranquillità. Per raggiungere grandi risultati ci vuole tempo, impegno e lavoro. E in dosi abbondanti". 

Pugaccio

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 @RIPRODUZIONE RISERVATA

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  Scritto da La Redazione il 14/12/2017
 

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